Il
termine ANTIPSICOTICO o NEUROLETTICO o TRANQUILLANTE MAGGIORE, è usato per indicare un gruppo di farmaci impiegati
principalmente negli stati di psicosi.
Il
termine PSICOSI denota diversi disordini mentali in cui non c’è soltanto una
compromissione del comportamento ma anche grave incapacità di comprendere la
realtà e di pensare in modo coerente.
Un particolare tipi di psicosi è la SCHIZOFRENIA, una malattia cronica gravemente debilitante che colpisce circa l'1% della popolazione mondiale, specialmente giovani, caratterizzata da una
DESTRUTTURAZIONE DEL SE' PSICHICO DEL SOGGETTO CHE PORTA ALLA PERDITA DELLE FUNZIONI SUPERIORI E DELLA LORO CONTINUITA', INDISPENSABILI PER ELABORARE STRATEGIE COMPORTAMENTALI E DI ADATTAMENTO ALLE MODIFICAZIONI ESTERNE.
Ciò
determina una serie di sintomi che vengono classificati in positivi e negativi.
La
sintomatologia positiva comprende allucinazioni (voci spesso foriere di
messaggi esortatori), deliri (spesso di natura paranoica), disordini del
pensiero (che inducono l’individuo a trarre conclusioni irrazionali e a
formulare frasi sconnesse, talvolta associate alla sensazione che i pensieri
siano controllati da una forza esteriore), comportamenti bizzarri (come quelli
stereotipati).
La
sintomatologia negativa comprende disturbi cognitivi ed emozionali, quali
isolamento dalla vita sociale, appiattimento delle risposte emotive, apatia. Inoltre,
sono spesso presenti deficit della funzione cognitiva, assieme ad ansia e
depressione che conducono al suicidio nel 10% dei casi.
Una
caratteristica tipica della schizofrenia è un difetto dell’attenzione
selettiva: mentre un individuo normale accetta stimoli di natura familiare o
senza importanza e reagisce solo a stimoli inattesi o significativi, la capacità
dei pazienti schizofrenici di discriminare tra stimoli significativi e
insignificanti, sembra essere compromessa. Ad esempio, il ticchettio di un
orologio può suscitare la stessa attenzione delle parole di un compagno oppure
un pensiero fortuito, che una persona normale abbandona perché non importante,
può diventare un imperativo irrinunciabile.
L’eziologia
della schizofrenia è eterogenea e multifattoriale, con componenti genetiche e
ambientali, e le sua basi neurobiologiche, così come delle altre sindromi
psicotiche correlate, rimangono ancora del tutto da chiarire: studi a livello
cerebrale di questi pazienti hanno dimostrato un allargamento dei ventricoli
cerebrali, una riduzione del volume dell’encefalo, anomalie nei gangli della
base, riduzione del flusso ematico.
Carlsson,
vincitore del premio Nobel nel 2000, ha correlato questa patologia ad ALTERAZIONI della FUNZIONE DOPAMINERGICA sulla base di evidenze farmacologiche:
l’amfetamina, in grado di rilasciare dopamina nel cervello e gli agonisti
potenti del recettore D2 (come l’apomorfina) possono generare nell’uomo una
sindrome indistinguibile da un episodio acuto di schizofrenia (molto familiare
ai medici che si occupano di tossicodipendenti) oppure peggiorare i sintomi nei
pazienti schizofrenici, mentre antagonisti dopaminergici, così come molecole in
grado di causare la deplezione di questo neurotrasmettitore (es. reserpina)
sono efficaci nel controllare i sintomi positivi della malattia.
La
DOPAMINA è un neurotrasmettitore endogeno della famiglia delle catecolamine,
prodotta in diverse aree del cervello, la cui sintesi segue la medesima via di
quella della noradrenalina, vale a dire inizia con la conversione della
tirosina a dopa (passaggio limitante) seguito dalla decarbossilazione a formare
dopamina. Il processo si ferma a questo stadio perché i neuroni dopaminergici
mancano dell’enzima dopamina β
idrossilasi, e quindi non possono procedere alla sintesi della noradrenalina.
Dopo
il suo rilascio dalle terminazioni nervose, la dopamina viene ricaptata
soprattutto per mezzo di un trasportatore specifico e viene metabolizzata dalle
monoamminossidasi (MAO) e dalle cateto-O-metiltransferasi (COMT) dando come
prodotti principali l’acido diidrossifenilacetico (DOPAC) e l’acido omovanillico
(HVA); questi prodotti sono poi solfatati e escreti con le urine.
I
neuroni dopaminergici formano 4 sistemi principali:
- Il sistema mesolimbico-mesocorticale che rappresenta una via strettamente correlata al comportamento: in particolare l'area mesolimbica è correlata all'emozione mentre l'area mesocorticale è correlata all'apprendimento e alla memoria; nei pazienti schizofrenici, la prima è iperattiva il che spiega i sintomi positivi, mentre la seconda è ipoattiva il che spiega i sintomi negativi e i deficit cognitivi
- Il sistema nigro-striatale che contiene il 75% della dopamina del cervello ed è coinvolto nella regolazione dei movimenti volontari attraverso il recettore D2
- Il sistema tubero-infundibolare coinvolto nella secrezione di prolattina
- La via medullo-periventricolare formata dai neuroni presenti nel nucleo motore del vago e probabilmente implicata nel comportamento alimentare
Pertanto,
in base a questa distribuzione anatomica, un antipsicotico ideale dovrebbe: diminuire la
trasmissione dopaminergica mesolimbica, aumentare la trasmissione dopaminergica
mesocorticale cercando di non influenzare la trasmissione dopaminergica
nigrostriatale e tubero infundibolare.
Nonostante
la teoria dell’iperattività dopaminergica nella schizofrenia sia sostenuta da considerevoli
evidenze e fornisca un miglior quadro per comprendere l’azione dei farmaci
antipsicotici, dallo studio e dalla ricerca di nuovi farmaci antipsicotici si è
messo in evidenza il ruolo di un altro neurotrasmettitore, la serotonina.
L’ipotesi
che una ALTERAZIONE del SISTEMA SEROTONINERGICO possa rappresentare la causa
alla base della schizofrenia ha preso spunto dall’osservazione che l’LSD
provoca sintomi simili a quelli della schizofrenia. Inoltre, molti farmaci
antipsicotici dotati di efficacia, oltre a bloccare i recettori dopaminergici,
agiscono da antagonisti del recettore 5-HT2A e la serotonina ha un
effetto modulatorio sulle vie dopaminergiche per cui le due teorie non sono tra
loro incompatibili.
In
questi ultimi anni è stato suggerito che alla base della disfunzione molecolare
che sottendono la patologia schizofrenica ci sia una ALTERAZIONE STRUTTURALE e FUNZIONALE
DELLA CORTECCIA CEREBRALE dove il glutammato è il principale neurotrasmettitore
il che è stato messo in luce dal fatto che la fenciclidina, antagonista dei
recettori NMDA, induce sintomi psicotici propri della malattia.
Recentemente,
inoltre, è stata postulata anche l’ipotesi di un’alterazione del neurosviluppo
di alcuni circuiti cerebrali che suggerisce che il processo patogenico (genetico
o ambientale) preceda l’inizio formale della patologia e avvenga durante la
gestazione oppure durante i primi giorni di vita post-natale. I fattori
eziologici specifici che potrebbero essere coinvolti, indipendentemente oppure
in combinazione con la vulnerabilità genetica, comprendono l’esposizione
prenatale a virus, deficienze nutrizionali e complicazioni ostetriche al
momento del parto. Vi sono chiare evidenze, derivanti da studi su famiglie e
gemelli, che suggeriscono l’importanza della componente genetica nell’eziologia
della schizofrenia anche se la percentuale di sviluppo di questa patologia fra
i gemelli monozigoti si attesta solamente intorno al 50%, implicando
l’esistenza di altri fattori epigenetici o ambientali.
Pertanto,
mentre appare ormai chiaro che aberranti processi durante il neurosviluppo
possono predisporre l’individuo alla schizofrenia una volta raggiunta l’età
adulta, l’inizio e il decorso della patologia sembrano derivare da specifici
disturbi neurochimici che coinvolgono sistemi neurotrasmettitoriali come quello
dopaminergico, glutammatergico e serotoninergico e su questi la terapia farmacologica si è soffermata.
I
farmaci antipsicotici vengono solitamente divisi in farmaci convenzionali o
tipici, rappresentati dal grande gruppo di farmaci sintetizzati prima del 1980
(fenotiazine, tioxantine e butirrofenoni) e farmaci atipici, un gruppo di
composti più recente e diversificato (derivati dibenzazepinici, derivati
benzammidici e vari), il cui termine “atipico” è riferito alla loro minor
tendenza di causare effetti indesiderati di tipo motorio e/o alla loro capacità
di migliorare sia i sintomi negativi che i sintomi positivi.
I FARMACI ANTIPSICOTICI CONVENZIONALI comprendono composti triciclici con tre anelli condensati: se in posizione 10 si ha un atomo di azoto, abbiamo le famiglie delle FENOTIAZINE, il cui capostipite è la clorpromazina, mentre se è presente un atomo di carbonio abbiamo i TIOXANTENI
La
genesi dei neurolettici fenotiazinici affonda nelle ricerche di Bovet sugli
antistaminici a partire dai benzodiossani, dei quali vennero progettati e
sperimentati un gran numero di derivati.
Da
questi, per modificazioni successive, si ottenne la prometazina. La capacità di
questa molecola di prolungare il sonno indotto da barbiturici nei roditori
portò alla sua introduzione in terapia come potenziante dell’anestesia. Le
ricerche successive a partire dalla prometazina culminarono con la sintesi
della CLORPROMAZINA.
Si
deve al chirurgo francese Laborit ed ai suoi collaboratori l’aver compreso
tutta la potenzialità clinica di questa molecola: essi infatti osservarono che
la molecola di per sé non causa perdita
di coscienza ma concilia il sonno e induce uno stato di indifferenza verso
l’ambiente circostante, per cui sperimentandola su pazienti psicotici ci si
rese conto che con essa era possibile controllare i sintomi senza causare una
eccessiva sedazione. Così quella che inizialmente sembrava una lieve
modificazione strutturale dell’antistaminico prometazina, portò alla scoperta
di una nuova classe di farmaci che ha dato un rinnovamento radicale nella
terapia e nella vita dei pazienti schizofrenici.
L’efficacia
clinica delle fenotiazine venne dimostrata molto prima della comprensione del
loro meccanismo d’azione. Ricerche farmacologiche mostrarono in seguito che
questi farmaci erano in grado di bloccare l’azione di molti mediatori, tra
cui l’istamina, le catecolamine,
l’acetilcolina e la serotonina e fu proprio questa molteplicità di azioni a
determinare il nome commerciale di Largactil® per la clorpromazina.
Nell’uomo,
i neurolettici fenotiazinici e i tioxantenici, riducono l’iniziativa,
l’interesse per quello che lo circonda, la risposta emotiva, la rapidità di
reazione agli stimoli esterni e causano un certo stato confusionale. Ciò si
traduce nei pazienti psicotici in un minor stato di agitazione, irrequietezza e
di impulsività.
L’azione
antipsicotica è prodotta dalla capacità di bloccare i recettori D2 nel sistema
mesolimbico-mesocorticale e per spiegare ciò è opportuno confrontare le
strutture complesse e rigide di questi farmaci policiclici con quella della
dopamina.
Nella
conformazione preferita, la catena laterale della fenotiazina tende ad
orientarsi verso l’atomo di cloro presente sull’anello aromatico in posizione
2. Tale atomo di cloro non solo rende la molecola asimmetrica, ma fa sì che
tale orientazione determini una parziale sovrapposizione tra la struttura della
fenotiazina e quella della dopamina; si spiega così perché nella maggioranza
dei casi, all’assenza dell’atomo di cloro corrisponda la mancanza di attività
neurolettica.
Altra
importante caratteristica strutturale è la lunghezza della catena laterale
basica: le due funzioni azotate devono esser separate da una catena a 3 atomi
di C, il che spiega la minor attività come neurolettico dell’antistaminico
prometazina (ne ha 2).
I
neurolettici convezionali della classe dei BUTIRROFENONI
sono stati invece scoperti da Janssen nel corso di ricerche tese a potenziare
l’attività analgesica della meperidina; dai primi derivati, venne poi eliminata
mediante modifiche strutturali la componente morfinica e potenziata quella
neurolettica fino ad arrivare all’ALOPERIDOLO (Serenase®).
La
presenza di un gruppo amminico terziario dopo quattro atomi di carbonio della
catena acilica è essenziale per la loro azione; a livello di questa funzione
azotata terziaria, che generalmente è un ciclo a 6 termini (piperidinico,
tetraidropiridinico e piperazinico) sono possibili modifiche con sostituenti in
posizione 4.
Inoltre
la loro attività è incrementata da un atomo di fluoro in posizione para
nell’anello benzenico ed è diminuita dalla sostituzione del cheto gruppo.
Anche
l’azione antipsicotica di questa classe di farmaci è prodotta dall’antagonismo
verso i recettori D2 nel sistema mesolimbico-mesocorticale.
In
genere, con queste tre classi di farmaci si procede con una terapia di attacco
che consiste in 3-4 dosi al giorno per poi impiegare una terapia di
mantenimento di una dose al giorno prima di andar a letto in modo da indurre il
sonno ed evitare la sonnolenza diurna.
Tuttavia,
non essendo nessuno di essi antidopaminergici puri si avranno effetti
collaterali che possono colpire il SNC, il SNA e il sistema endocrino.
A
livello del SNC il blocco dei recettori dopaminergici causa una serie di
reazioni extrapiramidali che comprendono sindrome parkinsoniana e irrequietezza incontrollabile (acatisia). Successivamente
per blocco dei recettori colinergici si verifica discinesia, mentre il blocco
dei recettori dell’istamina causa sonnolenza.
A
livello del SNA per blocco dei recettori muscarinici si avrà perdita
dell’accomodazione visiva, bocca secca, difficoltà ad urinare e stipsi, mentre
per blocco dei recettori α
adrenergici si avrà ipotensione ortostatica, impotenza, mancanza di
eiaculazione.
A
livello endocrino il blocco dei recettori dopaminergici della via
tubero-infundibolare causa iperprolattinemia la quale, nella donna può dar
luogo a disturbi mestruali, infertilità, perdita della libido fino ad
osteoporosi per carenza di estrogeni, mentre nell’uomo può portare a
ginecomastia, perdita della libido, ridotta spermatogenesi fino a osteoporosi
da carenza di testosterone.
A
causa di questi sintomi collaterali, per i quali non si ha tolleranza ma solo
regressione per sospensione, la terapia antipsicotica non è piacevole e spesso
viene sospesa con un aumento dei casi delle ricadute del 53% e rischio di
suicidio per i pazienti.
Gli
effetti collaterali causati da questi farmaci hanno sicuramente contribuito a
promuovere la ricerca e lo sviluppo di nuove molecole che vengono appunto
definite atipiche o non convenzionali.
Questa
classe di farmaci, comprende molecole chimicamente varie, accumunate da avere caratteristiche
farmacodinamiche peculiari: una affinità relativamente più alta per i recettori
serotoninergici 5-HT2A, adrenergici e istaminergici (profilo multi
recettoriale), rispetto ai dopaminergici D1 e D2; una maggiore affinità per i
recettori D2 mesolimbici e mesocorticali rispetto a quelli nigrostriatali; una
rapida cinetica di dissociazione sufficiente a determinare l’effetto
terapeutico, ma non gli effetti indesiderati.
Tutto
ciò si traduce in minor effetti collaterali, soprattutto quelli
extrapiramidali, e quindi una maggiore compliance da parte del paziente. In
particolare l’uso delle molecole atipiche non provoca iperprolattinemia, un importante
effetto collaterale legato all’uso dei farmaci antipsicotici classici e che
comporta una serie di disfunzioni sessuali e riproduttive; ciò è correlabile al
ridotto blocco dei recettori dopaminergici D2 che controllano in maniera
inibitoria il rilascio della prolattina a livello tubero-infundibolare.
Tuttavia, la minor incidenza di effetti collaterali non costituisce l’unico
vantaggio di questa classe di farmaci: queste molecole, infatti, si sono
dimostrate attive, almeno parzialmente, nei pazienti che non rispondevano alla
terapia con gli antipsicotici classici, contrastando i deficit cognitivi dei
pazienti schizofrenici. Ultimamente, tuttavia, è stato riscontrato un aumento di peso con l’impiego di questi farmaci, il che si presenta in modo più marcato nei soggetti con
BMI inizialmente basso e nelle prime settimane di trattamento, raggiungendo un
plateau dopo circa 9 mesi.
Tra
gli antipsicotici atipici abbiamo derivati dibenzodiazepinici, dibenzotiazepinici
e le benzammidi.
I
DERIVATI DIBENZODIAZEPINICI, il cui
capostipite è la CLOZAPINA (Leponex®),
a cui si affianca anche la OLANZAPINA (Zyprexa®), mostrano un ampio profilo recettoriale in quanto in grado
di agire con i recettori del sistema dopaminergico, serotoninergico,
colinergico e adrenergico,; essi, inoltre, non solo presentano una minor affinità verso il
D2 (<70%) ma danno una occupazione di questo recettore per un breve lasso di
tempo, sufficiente a dare l’azione anti-psicotica e a permettere a questi
recettori di essere fisiologicamente responsivi alla dopamina endogena.
Le
reazioni avverse più comuni sono a carico del SNC (sonnolenza, sedazione), del
SNA (secchezza delle fauci, scialorrea, sudorazione) e del sistema
cardiovascolare (tachicardia, ipotensione). Tuttavia, l’incidenza piuttosto
alta di agranulocitosi limita seriamente l’impiego clinico.
Analogamente alla clozapina, anche la QUETIAPINA (Seroquel®), facente parte dei DERIVATI DIBENZOTIAZEPINICI, presenta una cinetica rapida di dissociazione
dal recettore D2 ma ha anche una ulteriore minore affinità per questi recettori
(< 60%).
La
classe delle BENZAMMIDI sostituite,
si può considerare derivata, almeno come filiazione, dagli acidi
p-amminobenzoico e p-amminosalicilico. Il capostipite può considerarsi la
METOCLOPRAMIDE (Plasil®) che,
accanto all’attività antiemetica, possiede una precisa attività
antidopaminergica centrale, tradotta successivamente in antipsicotica. Da
questo prototipo deriva la sulpiride.
La
SULPIRIDE
(Dobren®) e l’AMISULPIRIDE agiscono
come antagonisti D2 e vengono usate, in dosi standard per il trattamento della
psicosi, mentre a dosi basse, per il trattamento della depressione a causa
della inibizione dei recettori D2 presinaptici che aumenta l’attività
dopaminergica.
Altri
psicotici non appartenenti alle classi appena viste sono il risperidone,
l’aripiprazolo e la reserpina.
L’ARIPIPRAZOLO
(Abilify®) si comporta da
parziale agonista ai recettori dopaminergici prevenendo il legame della
dopamina ma nello stesso tempo determinando una certa attivazione che è
fisiologicamente rilevante anche se molto più debole di quella causata dalla
dopamina endogena. In questo modo l’iperattività del recettore postsinaptico
viene modulata e stabilizzata ma non completamente bloccata.
La
RESERPINA,
un alcaloide indolico isolato dalla Rauwolfia
serpentina, è stato il primo farmaco per il quale è stata dimostrata
un’azione sul sistema nervoso simpatico che ne ha permesso un ampio impiego
nella terapia farmacologia delle psicosi e dell’ipertensione, anche se la messa
a punto di composti più efficaci con effetti indesiderati considerevolmente più
contenuti la rende un farmaco obsoleto che ha al momento solo un interesse
storico. Essa si lega strettamente alle vescicole adrenergiche a livello dei
neuroni adrenergici centrali e periferici andando a inibire il trasporto
vescicolare di questo neurotrasmettitore; il risultato finale è una simpatectomia
farmacologica con un recupero della funzionalità simpatica che richiede la
sintesi di altre vescicole di deposito, per la quale sono necessari giorni o
settimane dall’interruzione del trattamento con reserpina.
BIBLIOGRAFIA
- Goodman & Gilman Le basi farmacologiche della terapia Mc Graw Hill ed
- Rang Y Dale Farmacologia Elsevier ed
- Katzung Farmacologia Generale e Clinica Piccin ed.
- Foye, Lemke, Williams Principi di chimica farmaceutica Padova ed.
- Appunti di lezione della Professoressa Tita
- http://www.iss.it/binary/publ/publi/0232.1109328163.pdf