Le
MALATTIE NEURODEGENERATIVE includono disturbi comuni e debilitanti
caratterizzati da una progressiva e irreversibile perdita dei neuroni in
specifiche regioni del cervello.
Sono
disturbi dell’età avanzata anche se sono state descritte forme ad insorgenza
precoce. Prototipi di tali malattie sono la Malattia di Parkinson e la Corea di
Huntington nelle quali la perdita di neuroni nei gangli della base comporta
anomalie nel controllo dei movimenti, la Malattia di Alzheimer in cui la
perdita dei neuroni ippocampali e corticali porta alla perdita delle capacità
mnesiche e cognitive e la Sclerosi laterale amiotrofica in cui la debolezza
muscolare dipende da una degenerazione dei motoneuroni spinali, bulbari e
corticali.
La
caratteristica più evidente di questo gruppo di malattie è la specificità dei
neuroni colpiti da ciascun progresso patologico: nella malattia di Parkinson si
ha una estesa distruzione dei neuroni dopaminergici della substantia nigra, nella
malattia di Alzheimer le regione più colpite sono ippocampo e corteccia anche
se all’interno di quest’ultima la degenerazione non è uniforme; infine, nella
sclerosi laterale amiotrofica sono colpiti i motoneuroni spinali e corticali a
proiezione discendente. Ancora più sorprendente è il fatto che nella Corea di
Huntington, una malattia geneticamente determinata autosomica dominante, il
gene sia espresso in tutte le aree del cervello e in altri tessuti ma
l’alterazione patologica si riscontra solo nello striato.
La
diversa specificità di tali schemi di degenerazione ha portato all’ipotesi che
il processo di danno neuronale sia il risultato dell’interazione di fattori
genetici e ambientali con fattori fisiologici intrinseci ai neuroni colpiti.
Per
un lungo tempo si è sospettato che i fattori
genetici avessero un ruolo importante nell’eziologia dei disturbi
neurodegenerativi e recenti studi hanno iniziato a far luce sui possibili
meccanismi responsabili.
Nella
malattia di Parkinson le forme autosomiche dominanti, ben più rare di quelle
sporadiche, sembrano essere causate da mutazioni in tre diverse proteine: l’α-sinucleina,
una proteina sinaptica molto abbondante, la cui forma mutata essendo più
resistente alla degradazione si accumula andando a formare i corpi di Lewy che
rendono i neuroni dopaminergici più suscettibili al danno; la parkina, una
ubiquitina idrolasi; UCHL-1 che partecipa alla degradazione delle proteine del
cervello mediata dall’ubiquitina.
Nella
malattia di Alzheimer le forme ereditarie sono causate da mutazioni di geni
codificanti per il precursore della proteina amiloide (APP) e per proteine
coinvolte nel suo metabolismo chiamate preseniline. Inoltre, studi recenti,
hanno rivelato che l’apolipoproteina E (Apo-E) possa essere un fattore di
rischio nell’Alzheimer: questa proteina, meglio conosciuta per il trasporto dei
lipidi nel sangue, si presenta in tre isoforme, tutte coinvolte come carriers,
ma si è visto che gli individui omozigoti per l’allele 4 hanno un maggior
rischio di sviluppare la malattia rispetto agli omozigoti per l’allele 2,
probabilmente perché l’apo E4 ha un ruolo secondario nel metabolismo della
proteina amiloide.
Infine,
mutazioni del gene che codifica per la Cu-Zn superossido dismutasi sono
responsabili di circa il 2% dei casi di esordio in età adulta di sclerosi
laterale amiotrofica.
Inoltre,
è stato ipotizzato che danni cerebrali di natura traumatica così come alcune
sostanze possono avere un ruolo nella genesi di questo tipo di malattie.
Un
esempio di fattore ambientale è la
N-metil-4-fenil-1,2,3,6 tetraidropiridina (MPTP), una designer drug, ritrovata
come contaminante in un preparato assunto al posto dell’eroina da un gruppo di
tossicodipendenti e capace di provocare sintomi di parkinsonismo grave ed
irreversibile. Tale sostanza è stata di aiuto per comprendere l’eziologia della
malattia: in pratica MPTP diviene attiva in seguito alla conversione mediata dalle monoamminossidasi B a N-metil-4-fenilpiridina che viene captata dal
sistema di trasporto della dopamina nella regione nigrostriatale dove distrugge
i neuroni dopaminergici probabilmente attraverso un aumento dello stress
ossidativo cellulare.
Lo
stress ossidativo, infatti, insieme all’eccitotossicità sono due eventi
correlati ed esempi di fattori
intrinseci responsabili della cosiddetta vulnerabilità selettiva dei neuroni interessati a
neurodegenerazione.
Il
termine ECCITOTOSSICITA’ fu coniato da Olney (1969) per descrivere un fenomeno
di danno neuronale conseguente alla esposizione a concentrazioni elevate di
Glutammato (50-100 µM) nel cervello. Il Glutammato, infatti, pur essendo il
principale neurotrasmettitore eccitatorio del sistema nervoso centrale, in
quantità eccessiva a livello delle cellule neuronali induce degenerazione dei
corpi cellulari, risparmiando le fibre assoniche, e tali effetti sono mediati
dal legame con i suoi rettori NMDA e AMPA.
Il
legame con i recettori AMPA determina l’entrata di Na nella cellula e quindi la
depolarizzazione; lo spostarsi del potenziale di membrana verso valori meno
negativi comporta la rimozione dell’inattivazione del recettore NMDA da parte del
magnesio. La rimozione dell’inattivazione del recettore NMDA, analogamente al
legame del Glutammato ad esso, porta all’apertura del suo canale e all’ingresso
di ioni calcio nella cellula. Ad incrementare l’accumulo di ioni calcio nella
cellula partecipa anche l’aumentata concentrazione cellulare di ioni Na, legata alla depolarizzazione, che attiva lo scambiatore Na/Ca, il quale estrude ioni
Na in cambio di ioni Ca.
Il
calcio in eccesso si va ad accumulare nei mitocondri e nel reticolo
endoplasmatico che sono molto capienti per questo ione, ma quando la sua
concentrazione va oltre una certa soglia, le funzioni mitocondriali vengono
alterate, si riduce la produzione di ATP e viene compromessa la funzionalità
delle pompe ioniche deputate al mantenimento dell’omeostati cellulare.
Il
calcio non più controllato può andare ad attivare le proteasi (calpaine) e le
lipasi che danneggiano le membrane o aumentare il rilascio dell’acido
arachidonico che promuove la produzione di radicali liberi e inibisce il re-uptake
dello stesso glutammato.
Tuttavia,
il punto di pericolo che fa scattare un feedback positivo, esacerbando il
processo di danneggiamento è l’aumento della produzione di specie reattive
dell’ossigeno (ROS) in conseguenza dell’alterata funzionalità mitocondriale.
Tali
sostanze se non vengono immediatamente bloccate possono attaccare le molecole
biologiche danneggiandole o dare vita a nuovi radicali sempre più reattivi come
ad esempio i perossinitriti (RNS) ottenuti per reazione dell’ossido nitrico (NO)
la cui produzione risulta fortemente aumentata per stimolazione della NO sintetasi
da parte dello stesso calcio.
Nella
cellula sono presenti diversi meccanismi di difesa in grado di tener
sottocontrollo i ROS e i RNS, come enzimi (superossido dismutasi, catalasi) e
sostanze (acido ascorbico, glutatione, α-tocoferolo), tuttavia se essi non riescono a funzionare o sono danneggiati per deficit ereditari o acquisiti, si determina uno STRESS
OSSIDATIVO cioè uno squilibrio tra la generazione di specie reattive e i
meccanismi di difesa antiossidanti dell’organismo, con conseguente aumento dei
radicali.
A
tal proposito è bene considerare che il sistema nervoso centrale è
particolarmente vulnerabile nei confronti dei processi ossidativi a causa dell’elevata
quantità di ossigeno richiesta dal metabolismo neuronale, dall’elevato
contenuto di acidi grassi insaturi, facilmente aggredibili dalla perossidazione,
e della presenza di depositi significativi di metalli redox-attivi come il
ferro e il rame.
Il
danneggiamento da stress ossidativo o da eccitotossicità può essere sufficiente
ad uccidere la cellula direttamente per necrosi o per apoptosi; pertanto, per
evitare l’istaurarsi di meccanismi di danneggiamento neuronale è opportuno che
il metabolismo energetico mitocondriale e i sistemi di difesa dai ROS siano ben
funzionanti.
La
funzionalità del metabolismo ossidativo mitocondriale si riduce
progressivamente con l’età in parte a causa dell’accumulo progressivo di
mutazioni nel genoma mitocondriale, il che porta ad una minore efficienza nella
produzione di energia, indispensabile per il funzionamento delle pompe ioniche
e maggiore vulnerabilità al danno eccitotossico.
I
pazienti affetti da malattia di Parkinson hanno dimostrato difetti nel metabolismo
energetico molto più elevati di quelli prevedibili per la loro età ed in
particolare si è osservato un difetto a carico della funzionalità del complesso
I della catena di trasporto degli elettroni mitocondriale.
Nella
malattia di Parkinson c’è anche la possibilità che la vulnerabilità selettiva
dei neuroni dopaminergici possa derivare dallo stesso metabolismo della
dopamina che produce perossido di idrogeno, il quale in presenza di FeII
nei gangli della base può generare ROS.
Il
ruolo dell’eccitotossicità nelle malattie neurodegenerative è meno certo di
quello da stress ossidativo, ma si pensa che la differente suscettibilità verso
essa di neuroni in aree diverse possa essere causata da una differente
espressione di tipi diversi di recettori per il Glutammato, contribuendo così
alla vulnerabilità selettiva.
Attualmente,
la terapia farmacologica per queste malattie è solo sintomatica e mirata a
migliorare durata e qualità della vita del paziente piuttosto che esser
incentrata sul fermare il decorso inevitabile della malattia.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
- P. Rang; M. Maureen Dale; James M. Ritter. Farmacologia. CEA, 1998.
- F. Rossi; V. Cuomo; C. Riccardi. Farmacologia. Torino, Edizioni Minerva Medica, 2005.
APPROFONDIMENTI
- http://www.iss.it/binary/publ/cont/1123-3117_2005_I_05_40.1165918924.pdf
- https://etd.adm.unipi.it/theses/available/etd-01182010-101319/unrestricted/TESI.PDF
Nessun commento:
Posta un commento