martedì 13 gennaio 2015

Malattie neurodegenerative - Introduzione



Le MALATTIE NEURODEGENERATIVE includono disturbi comuni e debilitanti caratterizzati da una progressiva e irreversibile perdita dei neuroni in specifiche regioni del cervello.
Sono disturbi dell’età avanzata anche se sono state descritte forme ad insorgenza precoce. Prototipi di tali malattie sono la Malattia di Parkinson e la Corea di Huntington nelle quali la perdita di neuroni nei gangli della base comporta anomalie nel controllo dei movimenti, la Malattia di Alzheimer in cui la perdita dei neuroni ippocampali e corticali porta alla perdita delle capacità mnesiche e cognitive e la Sclerosi laterale amiotrofica in cui la debolezza muscolare dipende da una degenerazione dei motoneuroni spinali, bulbari e corticali.
La caratteristica più evidente di questo gruppo di malattie è la specificità dei neuroni colpiti da ciascun progresso patologico: nella malattia di Parkinson si ha una estesa distruzione dei neuroni dopaminergici della substantia nigra, nella malattia di Alzheimer le regione più colpite sono ippocampo e corteccia anche se all’interno di quest’ultima la degenerazione non è uniforme; infine, nella sclerosi laterale amiotrofica sono colpiti i motoneuroni spinali e corticali a proiezione discendente. Ancora più sorprendente è il fatto che nella Corea di Huntington, una malattia geneticamente determinata autosomica dominante, il gene sia espresso in tutte le aree del cervello e in altri tessuti ma l’alterazione patologica si riscontra solo nello striato.
La diversa specificità di tali schemi di degenerazione ha portato all’ipotesi che il processo di danno neuronale sia il risultato dell’interazione di fattori genetici e ambientali con fattori fisiologici intrinseci ai neuroni colpiti.
Per un lungo tempo si è sospettato che i fattori genetici avessero un ruolo importante nell’eziologia dei disturbi neurodegenerativi e recenti studi hanno iniziato a far luce sui possibili meccanismi responsabili.
Nella malattia di Parkinson le forme autosomiche dominanti, ben più rare di quelle sporadiche, sembrano essere causate da mutazioni in tre diverse proteine: l’α-sinucleina, una proteina sinaptica molto abbondante, la cui forma mutata essendo più resistente alla degradazione si accumula andando a formare i corpi di Lewy che rendono i neuroni dopaminergici più suscettibili al danno; la parkina, una ubiquitina idrolasi; UCHL-1 che partecipa alla degradazione delle proteine del cervello mediata dall’ubiquitina.
Nella malattia di Alzheimer le forme ereditarie sono causate da mutazioni di geni codificanti per il precursore della proteina amiloide (APP) e per proteine coinvolte nel suo metabolismo chiamate preseniline. Inoltre, studi recenti, hanno rivelato che l’apolipoproteina E (Apo-E) possa essere un fattore di rischio nell’Alzheimer: questa proteina, meglio conosciuta per il trasporto dei lipidi nel sangue, si presenta in tre isoforme, tutte coinvolte come carriers, ma si è visto che gli individui omozigoti per l’allele 4 hanno un maggior rischio di sviluppare la malattia rispetto agli omozigoti per l’allele 2, probabilmente perché l’apo E4 ha un ruolo secondario nel metabolismo della proteina amiloide.
Infine, mutazioni del gene che codifica per la Cu-Zn superossido dismutasi sono responsabili di circa il 2% dei casi di esordio in età adulta di sclerosi laterale amiotrofica.
Inoltre, è stato ipotizzato che danni cerebrali di natura traumatica così come alcune sostanze possono avere un ruolo nella genesi di questo tipo di malattie.
Un esempio di fattore ambientale è la N-metil-4-fenil-1,2,3,6 tetraidropiridina (MPTP), una designer drug, ritrovata come contaminante in un preparato assunto al posto dell’eroina da un gruppo di tossicodipendenti e capace di provocare sintomi di parkinsonismo grave ed irreversibile. Tale sostanza è stata di aiuto per comprendere l’eziologia della malattia: in pratica MPTP diviene attiva in seguito alla conversione mediata dalle monoamminossidasi B a N-metil-4-fenilpiridina che viene captata dal sistema di trasporto della dopamina nella regione nigrostriatale dove distrugge i neuroni dopaminergici probabilmente attraverso un aumento dello stress ossidativo cellulare.
Lo stress ossidativo, infatti, insieme all’eccitotossicità sono due eventi correlati ed esempi di fattori intrinseci responsabili della cosiddetta vulnerabilità selettiva dei neuroni interessati a neurodegenerazione.
Il termine ECCITOTOSSICITA’ fu coniato da Olney (1969) per descrivere un fenomeno di danno neuronale conseguente alla esposizione a concentrazioni elevate di Glutammato (50-100 µM) nel cervello. Il Glutammato, infatti, pur essendo il principale neurotrasmettitore eccitatorio del sistema nervoso centrale, in quantità eccessiva a livello delle cellule neuronali induce degenerazione dei corpi cellulari, risparmiando le fibre assoniche, e tali effetti sono mediati dal legame con i suoi rettori NMDA e AMPA.
Il legame con i recettori AMPA determina l’entrata di Na nella cellula e quindi la depolarizzazione; lo spostarsi del potenziale di membrana verso valori meno negativi comporta la rimozione dell’inattivazione del recettore NMDA da parte del magnesio. La rimozione dell’inattivazione del recettore NMDA, analogamente al legame del Glutammato ad esso, porta all’apertura del suo canale e all’ingresso di ioni calcio nella cellula. Ad incrementare l’accumulo di ioni calcio nella cellula partecipa anche l’aumentata concentrazione cellulare di ioni Na, legata alla depolarizzazione, che attiva lo scambiatore Na/Ca, il quale estrude ioni Na in cambio di ioni Ca.
Il calcio in eccesso si va ad accumulare nei mitocondri e nel reticolo endoplasmatico che sono molto capienti per questo ione, ma quando la sua concentrazione va oltre una certa soglia, le funzioni mitocondriali vengono alterate, si riduce la produzione di ATP e viene compromessa la funzionalità delle pompe ioniche deputate al mantenimento dell’omeostati cellulare.
Il calcio non più controllato può andare ad attivare le proteasi (calpaine) e le lipasi che danneggiano le membrane o aumentare il rilascio dell’acido arachidonico che promuove la produzione di radicali liberi e inibisce il re-uptake dello stesso glutammato.
Tuttavia, il punto di pericolo che fa scattare un feedback positivo, esacerbando il processo di danneggiamento è l’aumento della produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) in conseguenza dell’alterata funzionalità mitocondriale.
Tali sostanze se non vengono immediatamente bloccate possono attaccare le molecole biologiche danneggiandole o dare vita a nuovi radicali sempre più reattivi come ad esempio i perossinitriti (RNS) ottenuti per reazione dell’ossido nitrico (NO) la cui produzione risulta fortemente aumentata per stimolazione della NO sintetasi da parte dello stesso calcio.
Nella cellula sono presenti diversi meccanismi di difesa in grado di tener sottocontrollo i ROS e i RNS, come enzimi (superossido dismutasi, catalasi) e sostanze (acido ascorbico, glutatione, α-tocoferolo), tuttavia se essi non riescono a funzionare o sono danneggiati per deficit ereditari o acquisiti, si determina uno STRESS OSSIDATIVO cioè uno squilibrio tra la generazione di specie reattive e i meccanismi di difesa antiossidanti dell’organismo, con conseguente aumento dei radicali.
A tal proposito è bene considerare che il sistema nervoso centrale è particolarmente vulnerabile nei confronti dei processi ossidativi a causa dell’elevata quantità di ossigeno richiesta dal metabolismo neuronale, dall’elevato contenuto di acidi grassi insaturi, facilmente aggredibili dalla perossidazione, e della presenza di depositi significativi di metalli redox-attivi come il ferro e il rame.
Il danneggiamento da stress ossidativo o da eccitotossicità può essere sufficiente ad uccidere la cellula direttamente per necrosi o per apoptosi; pertanto, per evitare l’istaurarsi di meccanismi di danneggiamento neuronale è opportuno che il metabolismo energetico mitocondriale e i sistemi di difesa dai ROS siano ben funzionanti.
La funzionalità del metabolismo ossidativo mitocondriale si riduce progressivamente con l’età in parte a causa dell’accumulo progressivo di mutazioni nel genoma mitocondriale, il che porta ad una minore efficienza nella produzione di energia, indispensabile per il funzionamento delle pompe ioniche e maggiore vulnerabilità al danno eccitotossico.
I pazienti affetti da malattia di Parkinson hanno dimostrato difetti nel metabolismo energetico molto più elevati di quelli prevedibili per la loro età ed in particolare si è osservato un difetto a carico della funzionalità del complesso I della catena di trasporto degli elettroni mitocondriale.
Nella malattia di Parkinson c’è anche la possibilità che la vulnerabilità selettiva dei neuroni dopaminergici possa derivare dallo stesso metabolismo della dopamina che produce perossido di idrogeno, il quale in presenza di FeII nei gangli della base può generare ROS.
Il ruolo dell’eccitotossicità nelle malattie neurodegenerative è meno certo di quello da stress ossidativo, ma si pensa che la differente suscettibilità verso essa di neuroni in aree diverse possa essere causata da una differente espressione di tipi diversi di recettori per il Glutammato, contribuendo così alla vulnerabilità selettiva.

Attualmente, la terapia farmacologica per queste malattie è solo sintomatica e mirata a migliorare durata e qualità della vita del paziente piuttosto che esser incentrata sul fermare il decorso inevitabile della malattia.


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

  • P. Rang; M. Maureen Dale; James M. Ritter. Farmacologia. CEA, 1998. 
  • F. Rossi; V. Cuomo; C. Riccardi. Farmacologia. Torino, Edizioni Minerva Medica, 2005.
APPROFONDIMENTI

  • http://www.iss.it/binary/publ/cont/1123-3117_2005_I_05_40.1165918924.pdf 
  • https://etd.adm.unipi.it/theses/available/etd-01182010-101319/unrestricted/TESI.PDF 

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